mercoledì 26 marzo 2014

Il Mattaglio dosage 0 Cantina della Volta

Chi l’ha detto che i buoni spumanti Metodo Classico sono prodotti solo a Trento oppure in Franciacorta? Senza dimenticare l’Oltrepò ed Alta Langa? Ci sono anche realtà di assoluto livello fuori da queste zone. Mi riferisco a Il Mattaglio della Cantina della Volta di Bomporto in provincia Modena. La zona è famosa per il Lambrusco e la Cantina invece lo è in quanto ci opera con proficuo successo quel Christian Bellei da anni uno dei massimi “manici” italiani nel produrre spumanti. Christian ha ereditato la passione per il Metodo Classico dal padre, Giuseppe. Oltre la passione Christian eredita anche un bellissimo vigneto ubicato a Riccò di Serramazzoni, in mezzo ai boschi dell’Appennino a 600m s.l.m. dove il mix di altezza, esposizione e terreno calcareo sono quelli che il papà Giuseppe ha trovato più somiglianti alla mitica montagna di Reims patria dei migliori Champagne. Ci pianta chardonnay, pinot nero e l’inconsueto per noi pinot Manier tutti acquistati in Francia. Oggi questo vigneto è coltivato da Christian in assoluto equilibrio senza interventi invasivi e con un’attenzione maniacale che continua anche in cantina. Proprio da questo vigneto nasce “IL MATTAGLIO” spumante metodo classico Brut dosage zero che degusteremo in questo scritto. Dopo la vinificazione il mostro fiore viene fatto fermentare in tini d’acciaio a temperatura controllata. Passato l’inverno viene imbottigliato per eseguire la rifermentazione in bottiglia secondo le modalità del Metodo Classico, dopo 6 mesi circa, viene lasciato sui suoi lieviti che lavoreranno per 20 mesi affinché donino maggior complessità complessiva. Per ultimo il dégorgement o sboccatura, senza più aggiunte extra. In questo modo diventa un Dosage zero, cioè un natur, un pas dosè, in quanto è rabboccata con solo altro spumante. In questo modo si ottengono spumanti con più carattere e personalità. Quello che degusteremo quest’oggi è un S/A cioè senza annata e sboccato a gennaio 2013
La bottiglia è un evoluzione della classica champagnotta, sormontata da un’etichetta nero e giallo tenue, di stile moderno  con i soli nomi della cantina e del vino, oltre al termine brut ad indicarne la categoria di appartenenza come zuccheri. Sul collo della bottiglia un bollino blu riporta lo “0” ad indicare che questo metodo classico è un “dosage zero”. cioè un natur, un pas dosè, in quanto alla dégorgement o sboccatura non è stato aggiunto nessun liquor de expédition, ma rabboccata con solo altro spumante di un altra bottiglia sboccata. In questo modo si ottengono spumanti con più carattere e personalità.
Alla mescita si apprezza il colore giallo paglierino carico, il perlage è file oltre che particolarmente numeroso e persistente rendendolo luminoso e soprattutto brillante.
Al naso le prime sensazioni sono quelle del lievito, un lievito evoluto dal terziario evidente, e crosta di pane,
qualche attimo e si evidenzia un fruttato da frutta secca, arachidi, nocciole e mandorla la fanno da padrona senza però coprire del tutto i fiori appassiti che man mano che il calice si scalda sono sempre più evidenti.
L’ingresso in bocca è prepotente, da subito intenso e persistente con un’acidità tagliente evidenziata anche dalla particolare secchezza di zuccheri, ma procediamo con ordine. Sicuramente secco di zuccheri, giustamente caldo di alcol per la tipologia, molto fresco di acidità che però non è mai fastidiosa e tutto sommato non lo sbilancia nel complesso di morbidezza. Ottima la sapidità di tratto minerale, che si apprezza soprattutto nella sua quasi infinita persistenza, dove si gode anche di un leggero retrogusto di mandorla tostata ed amareggiante che chiude con schiettezza richiamando il calice successivo. Corpo e struttura di buona fattezza, muscoloso quanto basta per aumentarne lo scatto ed il nerbo. In sostanza un ottimo spumante, sottile e tagliente di acidità, scattante e resistente nella sua ottima bevibilità
Consiglio di degustare Il Mattaglio in calici di media apertura superiore, ma che si ristringono sempre più verso lo stelo, questo per evidenziare il perlage nella parte bassa del bicchiere e di armonizzare quanto più i profumi nella parte alta. La temperatura di servizio ideale è di 6-8°, quindi non eccessivamente fredda.
Vino ideale da aperitivo, soprattutto importante, da bersi in piedi e quindi a base di tutti quegli invitanti finger food. Se lo bevete a sedere è perfetto con tutte le famiglie ittiche, io però lo preferisco con i frutti di mare e con i crudi come tonno, salmone e ricciola, oltre alle immancabili fritture. Io l’ho abbinato ad un ottimo carpaccio di pesce spada seguito dal mitico spaghetto risottato alle vongole. Abbinamento tradizionale e perfetto, l’acidità invadente del vino sposava a meraviglia la pastosità del pesce spada e ripuliva perfettamente il cavo orale dall’untuosità dello spaghetto. Il calice del giorno dopo, se ben chiuso, è ancora perfetto e invitante, in questo caso però non mi ha permesso l’abbinamento… è finito prima che fosse pronta la cena! Perfetto da consumarsi anche per regalarsi un piccolo piacere della vita.

L’abbinamento migliore comunque rimane quello di condividerne un calice con la persona amata, e se avete più di una persona amata, non condividetelo con tutte quante, ma apritene una bottiglia con ognuna di loro in quanto è perfetto per essere consumato in una intima cena a due, casomai a lume di candela, per festeggiare un avvenimento importante, un compleanno od un anniversario qualunque esso sia. Prosit.

giovedì 20 marzo 2014

Barbera della Stoppa 2005 Emilia IGT


E’ sempre un grandissimo piacere portare in tavola una bottiglia de La Stoppa, certo vini difficili ed impegnativi, ma capaci di regalare emozioni e autenticità. Fortemente legati alla tradizione al territorio e all’annata senza nascondersi, senza timore e senza voglia di piacere a tutti i costi. In poche parole un vino vero, frutto oltre che dell’uva e della natura anche dell’annata e della mano dosata dell’uomo.

L’Azienda è La Stoppa dell’energica Elena Pantaleoni, che da ormai un ventennio la conduce con sapienza e maestria, coadiuvata dall’effervescente enologo Giulio Armani con cui si è creata un’ottima simbiosi, tanto che parlando con loro, conoscendoli sempre più ritrovi la loro filosofia nel calice come frutto di coerenza alchemica. Il terreno è quello argillo limoso di Rivergaro in provincia di Piacenza, dove i primi colli si alzano dalla pianura padana seguendo il corso del fiume Trebbia, la coltivazione a regime biologico è ancora più attenta e sostenibile di quanto il disciplinare consenta. Vecchi impianti, potature mirate ad una bassa resa, inerbimento naturale, l’uso del solo rame e zolfo a protezione delle vigne sono le armi in campo. Anche in cantina l’attenzione è massima, uso dei soli lieviti indigeni, sapiente mix del legno e dei lunghi affinamenti, nessuna filtrazione sono le armi ormai da anni adottate.

D’altronde la Pantaleoni è una trainatrice dei sempre più fervidi movimenti a difesa della sostenibilità agri viticola volta a produrre vini che si discostino dalla standardizzazione del gusto, trasmettendo autenticità, cultura e soprattutto passione.

Il vino che andremo a degustare quest’oggi è la Barbera della Stoppa 2005 Barbera Emilia IGT, frutto dell’ormai autoctona e storica barbera in questo caso vinificata in purezza con una maturazione di un anno in barrique di rovere francese e di altri due anni di affinamento in bottiglia.

La bottiglia è la classica bordolese con una bella ed elegante etichetta bianca, con impresso in rosso oltre al logo dell’azienda anche il nome del vino che in questo caso corrisponde sia all’uva utilizzata che all’azienda stessa creando un simpatico gioco di parole, difatti il nome del vino è proprio l’intero “Barbera della Stoppa”.

Alla mescita si evince un bel rosso rubino luminoso e brillante, carico e fitto di colore, quasi impenetrabile. Appena aperto fatica ad esprimersi, ha bisogno di aria e un po’ di tempo, sono quasi 9 gli anni che questo vino è chiuso in contenitori (botte e bottiglia) con poca aria. Praticamente come quando noi, dopo una nuotata in apnea emergiamo iniziando ad annaspare in cerca di aria. Qualche minuto, qualche rotazione del calice, perché no, una decantazione ed il vino inizia a concedersi. Da subito risaltano i sentori fruttati di una frutta a pasta rossa soda e di media grandezza. Prugna e susina di una franchezza nitida e chiara vengono fuori assieme ai primi sentori un po’ selvaggi e terrosi a ricordare che questo vino è vero e senza compromessi, evidenti anche i richiami freschi e vinosi che si intersecano con note dal richiamo balsamico e di sottobosco.

In bocca la prima sensazione in assoluto che provo è la succosità disarmante che ha questa barbera. Pastosità di franco richiamo fruttato, sicuramente secco di zuccheri, seppur con un residuo zuccherino che aiuta a contrastare l’ancora elevata freschezza nonostante siamo a quasi 9 anni dalla vendemmia, facilitando la beva rendendolo di impatto morbido. Molto persistente ed intenso, durante la sua persistenza si gode della sapidità minerale che impresciosisce la beva. Trama tannica fitta ma morbida quasi vellutata nonostante questo vino oscilli verso la rusticità che ben si integra al importate grado alcolico che comunque rimane ben nascosto. Concludendo posso sicuramente dire che quando penso ad un vino rosso, lo immagino proprio come questa Barbera della Stoppa 2005; difatti durante l’assaggio per questo scritto, mi sono accorto di aver iniziato la bottiglia degustandolo, per poi, senza accorgermene essere passato a berlo di gusto.

Consiglio di stappare con anticipo questa bottiglia, di servirla ad una temperatura di 16°-18° ed in bicchieri a tulipano di ampia grandezza. Io l’ho degustato a temperatura di cantina (la mia da appartamento, per cui non eccessivamente fredda, ma neanche calda come la mia sala) e la sensazione mi è piaciuta molta, ha reso il frutto più croccante e caratterizzato l’acidità ed il tannino.

L’alta gastronomicità di questa barbera rende perfetto l’utilizzo a tutto pasto, partendo dall’antipasto italiano a base di salumi, e Dio solo sa quante primizie ci sono nel piacentino, a primi piatti a base di paste anche all’uovo condite con ragù di carne, per finire poi a piatti di carni rosse sia arrostite che alla griglia. Da provare anche con formaggi stagionati e saporiti. Io l’ho abbinato ad una veloce cena a base di pane toscano leggermente tostato accompagnato con coppa piacentina, coppa d’estate prosciutto e salame tagliato rigorosamente al coltello abbinamento che mi ha particolarmente soddisfatto per l’esaltazione reciproca dei salumi e del vino, col grasso asciutto e lardettato ben ripulito dal tannino morbido. Regge benissimo, perdendo punti solo al naso, anche il calice del giorno dopo, ammesso che ne rimanga, questa volta abbinato ad una semplice bistecca alla piastra, anche in questo caso abbinamento semplice ma riuscito giocato questa volta sulla succosità della carne tagliata non troppo sottile.

L’abbinamento perfetto è però quello di condividere la bottiglia con le persone amate, sia in famiglia che tra amici, d'altronde l’uso perfetto di questa barbera è proprio una tavolata goliardica di amici nella classica rimpatriata del venerdì sera.



Maestro Enogastronomo Sommelier Paride Cocchi

sabato 15 marzo 2014

CARTE D’OR 2011 CHAMPAGNE DELOUVIN NOVACK BRUT

Champagne, basta la parola! Noi amanti delle bollicine, al solo nominare lo champagne abbiamo un sussulto, e io sono uno di questi. Purtroppo o per fortuna non solo io ho un sussulto, ma anche il mio portafoglio… i francesi oltre che veramente bravi a fare le bollicine, lo sono altrettanto nel farseli pagare, almeno in quelli che raggiungono i scaffali delle nostre enoteche. Con un po’ di attenta ricerca, qualche nozione ecogeografica, due consigli dagli amici più esperti e una connessione internet, sono riuscito a scovare uno champagne di un piccolo produttore Bertrand Delouvin, 6 ettari sulla collina di Marne ad un prezzo molto accettabile.

Siamo a Vandieres, nella valle del fiume Marne, la prima zona che incontriamo in Champagne partendo da Parigi, patria del più oscuro dei tre vitigni che compongono lo Champagne cioè il Pinot Manier. Il Manier è un vitigno a bacca rossa ma polpa bianca, e che da quella nota accattivante di frutta  e impatto rotondo. E’ anche il più adattabile al terreno argillo calcarico della proprietà di Bertrand. I Deulovin sono vignaioli in Champagne dal 1500 ma lo commercializzano dal 1949, da sempre credono nel Pinot Manier tanto da renderlo attore principale dei loro vini e non cooprotagonista, e difatti su 6 ettari complessivi, il Pinot Manier ne occupa ben 5, mentre l’ettaro mancante è vitato a Chardonnay. Sia in cantina che in vigna è Bertrand ad occuparsene in prima persona con sapienza e maestria. Tutti i suoi vini prevedono il Pinot Manier in purezza, tranne il SELEZIONE Extra Brut Millesime dove viene aggiunto lo chardonnay.
Lo Champagne che degustiamo quest’oggi è il loro prodotto base, il Carte d’Or , l’annata non è riportata in etichetta, ma è quella uscita in commercio nel 2013, ed essendo stato in bottiglia sui lieviti per 2 anni, deduco che si tratti del 2011, di cui mi sono procurato una buona scorta.
La bottiglia è la classica champagnotta, con etichetta color oro e scritte nere ad impreziosire il tutto.
Alla mescita  il colore è un giallo paglierino scarico, con riflessi verdolini, mentre numerosissimo e fine è il perlage che dona una bella brillantatura al calice.
Al naso corrono subito le note di lievito quali crosta di pane, pane il lievitazione. Evidente, franco e netto, sono anche le sensazioni di frutta a pasta bianca e leggermente acerba, su tutto la mela stark, pera ma anche tanta frutta secca e in chiusura il calice si riempie di note da biancospino e calla. Espressivo nel suo essere iodato e minerale.
In bocca è intenso e persistente, si sente subito la lotta tra l’acidità della freschezza e la rotondità e pastosità, è probabilmente derivate dal vitigno. Evidente anche la filosofia di Bertrand indirizzata ad una non esasperazione e caratterizzazione della vinificazione per non alterare il concetto di terroir che trasmette questo gradevolissimo champagne. L’attacco è pieno e succoso di materia, secco e cremoso, con una croccante quanto aggressiva bolla piena di sapidità.  Un residuo zuccherino, non dichiarato in quantità, lo rende abbastanza morbido e smussa l’acidità lampante sormontata dalle numerose bollicine. Corpo e struttura adeguati alla tipologia, in questa fase pur essendo chiaramente uno champagne fine ed elegante, quasi piacione, paga un po’ la gioventù essendo leggermente sbilanciato sulle sostanze dure, quali acidità e freschezza.  
Consiglio di berlo a 8°-10° e in calici che partono stretti sullo stelo per poi aprirsi a tulipano ristringendosi sull’orlo.
Io l’ho abbinato ad un filetto di salmone al forno su specchio di vellutata ai porri e caponatina invernale, abbinamento che gioca sulla grassezza del salmone e quella intrinseca del porro. Sensazioni ripulite egregiamente dalla bollicina di questo champagne.
Voi? Gioco facile con l’abbinamento, con le ostriche non sbagliate mai, con crostacei, sushi e sashimi nemmeno. Cruditè di pesce, cappe sante, carpacci vari altri errori evitati. Facile l’abbinamento con tartare di pesce anche marinata, interessante e da provare la battuta di carne come quella di Fassona. Regge bene anche primi piatti di verdure, risotti asciutti od all’onda.
Non mi sbilancio sul calice del giorno dopo, questa bottiglia è stata finita in un lampo, in men che non si dica ad evidenziare l’alta bevibilità e quindi non ne è rimasto per il test del giorno dopo.
 Non sbaglierete nemmeno a condividere un calice o tutta la bottiglia con la persona amata questo  è rimane l’abbinamento perfetto. Champagne perfetto anche per una cena intima e romantica a due sia che sia per conquistare che per festeggiare una ricorrenza. Perfetto anche per regalarsi un piccolo piacere della vita. Mi ero ripromesso di non parlare di prezzi in questo blog, ma… ma… questo Carte d'Or champagne di Delouvin Novack in azienda si trova intorno ai 14 €, si avete letto bene 14€!!!


Maestro Enogastronomo Sommelier Paride Cocchi

venerdì 7 marzo 2014

Le Vaie 2012 Emilia I.G.T. di Isola BO

Chi lo ha detto che i buoni vini sono solo quelli famosi, di zone vocate facilmente reperibili? Oggi vi voglio parlare di un vino insolito, certo fatto con un uva oggi molto modaiola, ma con un’interpretazione personale di livello e con un impronta territoriale nuova.
Il vino in questione è il Le Vaie 2012 Riesling di Isola di Monte San Pietro provincia di Bologna.
La zona è il cru del pignoletto classico, quella parte di provincia di Bologna che costeggia il Samoggia e si alza verso l’appennino. L’azienda è la storica Isola della famiglia Francescini, oggi guidata dal giovane e bravo Gianluca. Gianluca ha proseguito la strada del padre, mantenendo l’azienda in binari di qualità e tradizione ottenendo ottimi prodotti che si contraddistinguono per franchezza e pulizia. Questa strada ha portato ad avere ottimi vini “tradizionali” quali Pignoletto, fermo e frizzante, classico e spumante, cabernet Sauvignon e infine Barbera. Francesco per mettere il suo sigillo in azienda ha creduto e scommesso su un vino insolito per il territorio, il riesling renano, oltretutto vinificato in netta e spiccata direzione alsaziana.
A dire la verità il Riesling nel bolognese è sempre stato presente, ma nell’ultimo ventennio è stato progressivamente accantonato per far spazio all’autoctono Pignoletto.
La bottiglia è l’insolita borgognotta, dico insolita in quanto con un riesling stile alsaziano, mi immaginavo la tradizionale renana, sormontata dalla simpatica e gradevole etichetta aziendale in multicolor. Nel Le Vaie il simbolo dell’azienda è colorato in un moderno rosso bordeaux e verde, detto così l’accostamento è forzato, ma se date un occhiata alla foto allegata si evince l’armonia complessiva azzeccata dell’etichetta.
Alla mescita si denota un bel giallo paglierino scarico, con riflessi verdolini, brillante e luminoso. Al naso si è invasi da un intenso e persistente profumo, tipico e franco. Sensazioni fruttate e floreali si integrano a quelle minerali e da idrocarburi. Nel dettaglio sono evidenti la pesca, la maracuja in fase maturativa piena, fresche note di ginestra e salgemma vengono superate dagli idrocarburi e quelle pungenti minerali con un richiamo balsamico. A distanza di qualche minuto i profumi si armonizzano ed evolvono in linea retta verso una finezza elegante. Anche in bocca il Le vaie 12 si pone con una buona intensità e persistenza, secco ma con un evidente residuo zuccherino che rende la beva intrigante e goduriosa. Residuo zuccherino che non è nascosto per rendere il vino facile, ma è dichiarato con chiarezza in retro etichetta, dove si scopre anche il valore, in questo cado 27 g/litro. A mio parere essendo per tipologia un vino dall’acidità spiccata quasi bestiale, questo residuo zuccherino è pressoché necessario per aiutare la beva e renderlo apprezzabile fin dai primi anni dalla produzione donando quella morbidezza che altrimenti non avrebbe. Il modesto tenore alcolico, 9.7 gradi, fa il resto nell’alleggerire la beva, difatti è veramente difficile poggiare il calice. Molto fresco di acidità come detto  e con un’ottima sapidità minerale che mette in luce nella sua lunghissima persistenza.  Corpo e struttura di valore adeguato a questo vino, che vuole essere un ottimo compagno di un altrettanto  buon pasto senza sopra avanzarlo. Armonico e buon equilibrio tra le componenti dure e quelle morbide, insomma un interessantissimo Riesling gradevole e ben fatto, che con pochi euro può regalarci ottime emozioni.
Consiglio di servire questo vino in calici a tulipano di media grandezza ed ad una temperatura di 8, 10° per meglio esaltare le componenti olfattive e sulla freschezza.
Come abbinamento con antipasti bianchi a base di verdure e pesce, sia in cruditè che in tartare, ma anche con scottature al vapore. Primi piatti a base sempre di pesce o crostacei, risotti creativi, con frutta e pesce.
Perfetto con tutta la gamma dei crostacei, sfruttando il residuo zuccherino di questo Le Vaie andremo ad esaltare la dolcezza sapida del crostaceo. Intrigante e da provare in attesa dell’estate con la mozzarella di bufala
Io l’ho abbinato ad un ottimo polpo con patate ed olive taggiasche, piatto classico della cucina italiana , e si è rivelato un abbinamento egregio, il vino di impatto morbido e dolce esaltava la dolcezza delle patate, mentre la parte sapida andava a braccetto con la salinità, anch’essa dolce del polpo, a ripulire la bocca per il proseguo del pasto ci pensava la taggiasca.
Regge molto bene anche il calice del giorno dopo, anch’esso affiancato con la “rimanenza” casalinga del polpo del giorno prima… sottolineando che l’abbinamento migliore rimane quello di condividere la bottiglia con le persone amate.


Maestro Enogastronomo Sommelier Paride Cocchi