lunedì 21 luglio 2014

I miei post su wineblogroll

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mercoledì 16 luglio 2014

Altovanto Merlot Colli Bolognesi Doc 2011 di Federico Aldrovandi

Sfruttando un’ultima fresca serata ho portato in tavola uno dei vini rossi per me più riusciti sui colli bolognesi. Non è ne un cabernet ne una barbera, ma è un altro vitigno internazione, il Merlot. Certo come ben sapete, di base preferisco degustare vini autoctoni, ma di fronte a queste intermpretazioni mi “sacrifico” volentieri. Il vino in questione è l’Altovanto Merlot Colli Bolognesi Doc 2011 di
Federico Aldrovandi, grande persona, grande conoscitore, grande degustatore e grande amante dei vini d’oltralpe.
L’Altovanto è un merlot in purezza della zona di Monteveglio sulle prime alture dell’appennino, vigne curate in primis da Federico, nella totale anarchia della suo credo. Nessuna certificazione nessuna occlusione mentale, solo l’idea e la voglia di fare un buon vino. Bè, io credo ci sia riuscito.
La bottiglia è la classica bordolese, mentre l’etichetta è rara sintesi di eleganza e fascino con il suo beige chiaro e scritte nere, impreziosite dal nome del vino scritto anche in brail sul retroetichetta.
Alla mescita il colore è un cupo rosso rubino, con qualche riflesso violaceo a ricordare la sua gioventù, mentre il naso è inebriante, fine ed elegante, subito non apertissimo, necessita di qualche roteazione del calice, ma poi si è invasi da profumi di rara finezza ed eleganza. Frutta  rossa matura, quasi sotto spirito, di piccola taglia, come more, ribes, fragoline di bosco, qualche nota verde tipica del merlot, poi tanto terziario a non nascondere la sua infanzia passata in barrique. Nette e franche le sensazioni speziate, sia dolci che piccanti, un elegante susseguirsi di cannella e pepe bianco, tabacco e cuoio, caffè tostato e cacao amaro.
In bocca è sia intenso che persistente, il tannino è ancora agressivo e invadente, ma non scorbutico e arrogante. Le sostanze dure la fanno ancora da padrone, ma il tempo le ammorbidirà rendendolo più beverino. E’ succoso, il frutto è vivo e croccante. La freschezza è intesa a donare sia bevibilità che longevità. La lunga peristenza si riempie di frutto e sapidità dal tratto minerale.
Insomma un grande vino, forse un po’ presto berlo ora, meglio dimenticarlo in cantina per qualche anno. Ma sinceramente non penso di aver fatto uno scempio a stapparlo, è già abbastanza armonioso e equilibrato, chiaramente necessita di un giusto abbinamento gastronomico.
Quest’Altovanto è un bel cavallo di razza muscoloso e vigoroso, un po’ di pazienza e diventerà anche scattante. In questo momento è sicuramente ancora un po’ “duro”, d'altronde il periodo passato in legno è importante, ben 18 mesi, non propriamente un uso cosmetico ma è un uso dosato e voluto e direi centrato sul risultato ottenuto.
Consiglio di degustarlo in ampi calici a ballon per meglio ossigenarlo e di degustarlo ad una temperatura tra i 18 e 20°.
Come abbinamento trova impego con salumi e formaggi  di buona consistenza e stagionatura per quanto riguarda l’antipasto, anche se iniziare con questo calice è un po’ impegnativo.
Coi primi piatti è indicato con paste all’uovo condite con ragù rossi di carne o di selvaggina. Più indicato invece con i secondi piatti, sia carni rosse e nere, sia al forno che alla griglia, brasati compresi.
Io l’ho abbinato ad una succolenta tagliata di manzo alla rucola, abbinamento pressochè perfetto, la succolenza della carne, rigorosamente in cottura blu veniva ben contrastata ed asciugata dalla vigoria del tannino, mentre il corpo del vino spalleggiava a meraviglia con l’intensita del manzo aromatizzato dalla salamoia bolognese.
Regge molto bene anche il calice del giorno dopo, questa volta abbinato ad una semplice insalata greca, questa volta il vino si è imposto sovrastando il piatto, anche se il pizzicorio della cipolla tropea e la forte sapidita della feta hanno cercato di lottare fino all’ultimo.

Vino perfetto da essere degustato in una bella cena importante, sia per accomagnare allegre chiacchere che per una più intensa chiaccherata col partner a lume di candela; soprattutto perché l’abbinamento ideale rimane sempre quello di condividerne un calice, meglio due, con la persona amata.