Fino a qualche tempo fa, credevo che esistessero vini
bianchi, vini rossi e vini rosati. Questi ultimi, almeno in Italia non frutto
di un mix bianco e rosso, ma frutto da una vinificazione in bianco di uva
rossa. Poi un giorno… ho scoperto l’Ageno, e mi si è aperto un mondo. Il mondo
è quello degli orange wine, ovvero i macerati. Vini dal colore giallo intenso
quasi arancione ottenuto da una vinificazione in rosso di uve bianche. Quest’oggi
assaggeremo proprio un macerato, l’Ograde di Skerk. Il terroir invece è quello
del Carso, da sempre isola vinicola felice del Friuli Venezia Giulia a pochi chilometri
dal confine sloveno in quel di Preopotto. Il fantastico microclima che si trova
in questa zona è unico, il mix tra altitudine e vicinanza dal mare, tra terreni
carsici e la bora che asciuga l’uva e dalla grande escursione termica tra il
giorno e la notte, crea da sempre vini intensi, particolari e affascianti.
Aggiungiamo la grande passione che la famiglia Skerk trasmette ai suoi vini attraverso
il grande rispetto della vigna, protetta da solo rame e zolfo, e l’altrettanta
attenzione in cantina, dove sono bandite chiarifiche filtrazioni e altre “mutazioni”
fanno si che i vini acquistino personalità e carattere. Inutile sottolineare
che questa scelta è vincente, non si può macerare il mosto sulle bucce se
queste ultime sono ricoperte da più pesticidi o prodotti similari.
I’Ograde 2010 è un vino da tavola, ottenuto da uve Vitoska
al 40%, Malvasia Istriana 30%, Sauvignon 20% e l’ultimo 10% è riservato al
Pinot Grigio.
La bottiglia è la classica bordolese scura con etichetta
bianca, in alto il nome del vino, in basso il nome dell’azienda, mentre al
centro il logo aziendale raffigurante alcuni acini di uva. Alla mescita il
colore è un giallo dorato abbastanza carico con riflessi opachi a trasmettere
subito il suo non essere filtrato pur non essendo velato. Il naso è fantastico, un pot-pourri di emozioni che si
susseguono. Profumi morbidi, al limite del dolce molto intensi e molto
persistenti. Profumi freschi e duraturi di una frutta esotica croccante, mango papaya
e ananas, pesca noce e susina bianca si complementano a meraviglia, qualche
nota floreale di ginestra, orchidea e calla, ma a farla da padrone sono le
intriganti note balsamiche. Timo, menta, curcuma si alternano che è un piacere,
ed in chiusura si evincono note di albicocca, miele ed una vaga panna montata. Minuto
per minuto il vino cambia si trasforma si evolve che è un piacere.
In bocca
risulta molto intenso ma ancor più persistente. Secco di zuccheri,
moderatamente alcolico, il 13% dichiarato non è così evidente, una bella trama
tannica tipica dei macerati si integra alla perfezione con la grandissima
acidità che ancora ha questo Ograde nonostante i 4 anni alle spalle. Ottima la
sapidità di spiccata salinità marina che impreziosisce la grandissima bevibilità.
È praticamente impossibile poggiare il bicchiere sul tavolo e smettere di
assaggiarlo, ed ogni assaggio è sempre diverso al precedente rendendo
intrigante la bevuta. Corpo e struttura adeguati alla tipologia lo rendono
tutto sommato morbido. Certo una morbidezza ottenuta da una media alta di “squilibri”
duri e morbidi, ma dovuti soprattutto alla gioventu. Fine ed elaegante nel
complesso rendono questa bottiglia una degustazione non banale, intensa e soprattutto
di carattere.
Consiglio
di berlo intorno ai 12 – 14° ed in calici dalla tipica forma a tulipano come da
foto.
Come abbinamento
è un vino molto versatile adatto ad un intero pasto, partendo da antipasti ci
salumi o pesce, primi piatti a base di pesce e verdure e alcuni ragù di
selvaggina da piuma, mentre tra i secondi trova il giusto impiego con coniglio
al forno, cacciagione da piuma quali, tagliata di petto d’anatra, ma anche
tutta la gamma di pesce, bianco e azzurro. In questo caso soprattutto con preparazioni
elaborate e anche leggermente grasse. Perfetto anche da bersi da solo, dopo
cena, per apprezzare un piacere della vita o come calice da meditazione.
Io l’ho
abbinato a delle alici marinate e ad una faraona al forno con patate. L’abbinamento
mi ha soddisfatto in entrambe le portate, la sapidità del vino si sposava alla
perfezione a quella fresca delle alici, mentre l’acidità ed il corpo erano
perfetti con il sapore forte della faraona. Nel calice del giorno dopo i
profumi calano un po’, mentre sempre intrigante rimane la bocca. Anche in
questo caso l’ho abbinato con quel che restava della faraona.
Bottiglia
perfetta da consumarsi a cena con amici appassionati di vino, essendo comunque
un vino difficile, ma non impossibile, sicuramente un vino che fa della
particolarità e del carattere la sua arma vincente.
L’abbinamento
migliore rimane però quello di condividerne un calice con la persona amata.
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